Ricette gastronomicheGli agoni alla griglia


Gli agoni : come si pescano e come si cucinano

Tutto il perimetro della riviera comasca è costellato da innumerevoli “cavalletti” per almeno quattro mesi l’anno. Col lungo braccio immerso e il treppiedi fuori dall’acqua, questa struttura in legno consente la pesca con ami degli agoni, prelibato pesce che approda nelle vicinanze della scogliera in un periodo che va da maggio a metà luglio, seconda delle condizioni atmosferiche. Ed è suggestivo all’imbrunire guardare capannelli di persone o singoli pescatori muniti di “quadrato” che nella semioscurità e in assoluto silenzio attendono che i pesci in gran numero entrino nella trappola mortale. Sono immagini e situazioni che si ripetono ogni anno , non si sa da quando. E fanno parte ormai delle tradizioni dei paesi rivieraschi e quindi anche di Bellano.
Quella degli agoni – ma accade anche per i lavarelli, altro pesce pregiato del lago- è una pesca che spinge gli appassionati, giovani e anziani, a procurarsi anche con forme illegali quel cibo prelibato. E non è una sfida tra il pescatore e la preda: la “lotta” avviene tra i pescatori e i guardiapesca, i quali nel bel mezzo della notte per proteggere il divieto percorrono con barche a motore le spiagge in lungo e in largo. Ed è un giocare a nascondino, con i pescatori di frodo che scrutano ogni minimo rumore proveniente dal lago, pronti a scappare e lasciare attrezzature e pesci per evitare di essere visti o fermati dai guardiapesca che alla chetichella cercano di sorprendere  i frodatori per multarli o sequestrargli le attrezzature.
Il “palo” quando scorge delle flebili luci o sente dei rumori provenienti   dal lago, avverte  i “complici” che tentano di nascondersi  dietro un qualche riparo o di sdraiarsi tra le rocce  per non essere visti. Questo gioco a guardia e ladri è il preambolo , quasi un rito, che preannuncia come da lì a pochi giorni la pesca degli agoni diviene legale. E allora entrano in funzione  i “cavalletti” , alla cui estremità prendono posto i pescatori , immobili e silenziosi.
Un tempo il Lario era pieno di pesci: antichi documenti rivelano che il lago abbondava di grosse trote, anguille, persici, tinche e “botatrici del fegato grasso”.
Bettino da Trezzo, nella sua “Letiologia” scrive dell’esistenza di molti “dagoni da reguci”, riferendosi probabilmente con questo termine alla “remuscia” o “muzeta”, sorta di rete a strascico senza sacco del cui uso si ha notizia sin dal Trecento.
Data la fragilità dell’agone, i pesci pescati con tale attrezzo risultanopiù pregiati di quelli catturati con le “oltane”, reti vaganti quest’ultime che venivano gettate di notte. E questo perchè, pescati con la “muzeta” gli agoni, quando si avvicinavano numerosi per la fregola, potevano essere raccolti rapidamente e, ancora vivi, raggruppati a terra; con le “oltane”, il pesce era ritirato dopo molte ore dalla morte e quindi risultava danneggiato per la lunga permanenza tra le reti. Da qui la preferenza per il primo sistema di pesca, che, come risultato, può essere paragonabile a quello dell’odierno “quadrato”.
Nel ‘500 Tomaso Porcacchi fa una particolare descrizione dell’agone e ne indica l’evoluzione e i vari modi di prepararlo e cucinarlo. L’agone “ha la bocca alquanto grandetta – scrive – et senza denti, la testa et tutto il resto è stretto e il ventre fornisce in una linea serrata  con alcuni ossicelli. E’ coperto di scaglie sottili e larghe, le quali caggiono quasi senza toccarle.La coda è lunata: il suo colore è argentino fuor che sulla schiena, dove nereggia fra l’azzurro. Se gli vede,presso le branche, una macchia nera meza tonda da amendue i lati, et le sue ali et branche, con le parti di dentro, non sono dissimili dalla cheppia. Rare volte se ne trova alcuno maggiore d’una spanna di lunghezza”.
Quanto poi al modo di riprodursi, il Porcacchi spiega che nuotando verso i lidi sassosi le femmine “pregne d’ova” sono inseguite dai “maschi pieni di seme”. E dopo che “le femmine generan l’ova e i maschi le spargono del loro seme,nascon agoncelli piccoli,che in pochi giorni crescono quanto un dito e son chiamati antesiti, che poi a poco a poco  crescono fino alla loro natural grandezza”.
Ma il Porcacchi accenna anche al “carattere” dell’agone, pesce timido e pauroso la cui vita “per comune giudicio de’ pescatori” non è superiore a quattro anni. “Vive con gli altri in schiera – afferma – enon nuotsa se non in compagnia, pensando forse d’esser più sicuro dell’ingiurie e dalla violentia de’ pesci maggiori: poi che i burbori , i lucci et, più d’ogni altro, le trote lo perseguitano sempre: di maniera che si vedranno tal volta molte migliaia d’agono cacciati dalla trotta; non senza guadagno de’pescatori che spesso pigliano quelli e questa. Questo pesce muore, subito ch’è fuor dell’acqua”.
Quanto al sistema di cucinarli, le ricette sono varie. Fritti in padella con buonissimoolio, gli “antesiti” vanno conditi poi con “sugo di melarance”, mentre gli altri con “la sapa, col vino, con aceto et con lo spetie o con l’agresto mescolato con un’ovo”. Gli agoni più grossi, che si pescano con certe reti  dette “rozzoli”, si possono invece lessare “nell’acqua con olio, con herbe odorifere e con spetie”, oppuresi possono “arrostire e spesso si bagnano con una rametta di salvia  con l’olio et con l’aceto”. La “miglior conditura” è quella in carpione o alla marinara, che permette al pesce una conservazione di parecchi giorni.
La preparazione? L’agone fresco “si netta di fuora e di dentro, cavandogli l’interiora e mondandolo bene”. Poi gli si sparga sopra poco sale e lo si lasci così per sei o sette ore, quindi friggerlo”in buonissimo e molto olio”. Dopo questa operazione si mette in un “piatto di terra con aceto fortissimonel quale s’abbia bollito spetie e zafferano”. Trascorse quattro o cinque ore , riporlo in un altro “vaso senz’altro aceto sopra, mettendovi delle foglie di lauro, di mortine o di cedro, chi ne vuole”.
Ma dell’agone si utilizzavano anche le interiora.”Salvansi anchora questi pesci insalati , in carattelletti et bariglioncelli, con la salamoia: et, mentre si cavan lor le budella per insalargli, si raccoglie  da quella budella olio da abbruciar nelle lucerne”.
La cronaca del passato è ancora viva, coi “cavalletti” ancor sempre presenti.
Con il termine  di “misultin” viene indicato l’agone essicato , che nell’arte culinaria locale, e non solo, è molto apprezzato dai buongustai.
Gli agoni ancora vivi nella rete vengono portati a casa all’alba dal pescatore. Li prende ad uno ad uno e li pulisce. Poi li sala,li lega alla testa formando tante file e li mette sul terrazzo all’aria e al sole. Perderanno parte di lucentezza, ma conserveranno la sfumatura argentea sulla pelle. Vengono messi, dopo l’essicazione, dentro barattoli di latta sotto pressa e con qualche foglia d’alloro per ogni strato. Saranno pronti ad inizio dell’autunno.Secondo la tradizione i “misultitt” vanno poi scottati sulla griglia con una spruzzata d’olio e d’aceto per dargli un gusto forte ed aromatico.: essi così conservano il sapore e il profumo del lago. Ma secondo gli estimatori è anche un ottimo piatto se accompagnato con la polenta.
E quando il sapore svanisce sul palato, la fantasia vola già alla prossima primavera, alla fragola, ad una nuova pesca. La tradizione si ripete.